Porsche - I tresori dimenticati dell’Avana

I tresori dimenticati dell’Avana

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Sopralluogo: la prima Porsche perfettamente funzionante che scopriamo. Al volante Reinaldo García Sánchez, che aveva trovato la 356 abbandonata sotto un albero. Insieme a lui, la sua ragazza Dianne ed Ernesto Rodríguez

Alla ricerca dei gioielli Porsche nascosti. Un road-movie di quattro giorni. Gli oltre 50 anni di gelo tra gli Stati Uniti e Cuba si sono conclusi. Tuttavia, nonostante lo storico avvicinamento, il mistero Cuba rimane. Un innocuo giro presso il Porsche Club dell’Avana diventa quasi un caso investigativo.

L’Avana, 1962. Prologo. L’armata Porsche sfreccia lungo il muretto del Malecón. I motori da 1,5 litri delle 356 tengono testa ai propulsori italiani da 3 litri e ai bolidi statunitensi da 5 litri. La folla ammira ed esulta al passaggio delle piccole e agili vetture da corsa tedesche. Alla fine, due Porsche 356 Speedster GT compiono un’impresa sensazionale e tagliano il traguardo dell’ultima gara internazionale tenutasi a Cuba al primo e al secondo posto.

2016. L’isolamento di Cuba fa parte del passato, il gelo politico pressoché finito. La capitale, L’Avana, sembra tuttavia una città senza tempo, dove disperazione e speranza convivono una accanto all’altra. La caccia ai tesori Porsche sull’isola cubana si trasforma in un rebus fatto di informatori taciturni, notizie enigmatiche, lunghi viaggi in auto, cancelli di ferro chiusi e bizzarre sorprese.

Il presunto Porsche Club Cuba non c’è più. I nomi dei possessori di quei pochi, dimenticati modelli di Zuffenhausen vengono protetti come un segreto di Stato. Ma di mollare non se ne parla, e questo significherà percorrere centinaia di chilometri in auto attraverso sconfinate campagne, dare innumerevoli strette di mano e, nonostante la stanchezza infinita, continuare a sorridere: «Todo bien!» Tutto bene! È un continuo altalenarsi di sensazioni. Da un lato il perseverante silenzio della gente, dall’altro la gaia bellezza dell’Avana. Un mondo pittoresco di colori, costellato dalle famose e immancabili oldtimer. Quasi solo bolidi americani, raramente una Lada. Neanche una Porsche.

Il primo indizio porta davanti a un pittoresco cancello di ferro. Lì dietro, da qualche parte, dovrebbero trovarsi gli storici modelli Porsche scomparsi, ma Orlando Morales fa cenno di no. Si può entrare? Non adesso. Forse più tardi. Forse mai. Orlando tace. Il 77enne è il primo contatto serio. Un uomo dai lineamenti spigolosi, per lo più completamente privi di espressione, di una persona che non si fa più sorprendere o sconvolgere da nulla. Il portone rimane chiuso, la realtà di una Porsche in «carne e ossa» un miraggio. Orlando accenna perlomeno a una raccolta di fotografie in bianco e nero, testimoni delle grandiose gare disputate dalle Porsche negli anni Cinquanta. Le fotografie contano, certo, ma noi cerchiamo le vetture sopravvissute. Chissà se le porte chiuse si apriranno… Nella prima serata rimane solo la speranza.

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Incontri: Orlando Morales è l’archivio vivente dell’automobile di Cuba. Il 77enne sa tutto sulla storia motoristica dell’Avana, forse anche perché lui stesso nel 1961 ha guidato una 550 A Spyder

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Maxy Ramos

Il giorno successivo questa prende una forma concreta, quella di Maxy Ramos e della sua Plymouth Cranbrook del 1952. Maxy racconta di essere in realtà un veterinario, anche se non esercita la professione. Possiede solo la Plymouth di suo nonno. L’attempata berlina con il sedile posteriore rivestito in pelle riceve tutte le sue attenzioni, grazie a lei guadagna i pesos necessari a mantenere sua moglie e il figlio di sette mesi.

Prudente, evita ogni buca dell’asfalto malmesso della città, raccomanda di chiudere la portiera delicatamente e impreca coloritamente contro gli spruzzi salini delle onde dell’Atlantico che si infrangono sul lungomare del Malecón e attaccano la lamiera del suo taxi. Ogni mattina lui e la sua auto appena lustrata sono in postazione di fronte all’hotel. Maxy è il sistema di navigazione umano nella ricerca di quella passione automobilistica che anche a Cuba esiste e viene condivisa: quelle persone che amano la Porsche.

Alla fine sarà di nuovo quell’Orlando Morales con la sua faccia da giocatore di poker – e con il supporto di Manuel García Fernández e Alberto Gutiérrez Alonso – ad aprire la strada verso gli ultimi modelli Porsche presenti sull’isola caraibica. Orlando è una specie di archivio vivente dell’automobile di Cuba. Possiede un catalogo di tutti i veicoli introdotti legalmente sull’isola. Se qualcuno sa qualcosa sul destino delle vetture provenienti dalla lontana «Alemania», questo è lui.

Nel suo piccolo appartamento presso Plaza de la Revolución ci mostra una selezione di fotografie in bianco e nero delle Porsche a Cuba. Sul davanzale, degli uccellini mangiano i chicchi di riso che Orlando sparge per loro tutte le mattine. Le fotografie ritraggono il volto dai lineamenti marcati del direttore corse Porsche Huschke von Hanstein. Diversamente dal solito, a Cuba è lui stesso attore e nel 1960 guida per 65 giri una Porsche 718 RSK al Gran Premio Libertad, il Gran Premio di Cuba.

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Maxy Ramos

In un’altra fotografia, Carroll Shelby, creatore della AC Cobra, si rannicchia dietro il volante di una Porsche 550. Le immagini immortalano ulteriori leggende del motorspot, come Graf Berghe von Trips, Edgar Barth e Stirling Moss. Poi Orlando indica un personaggio in particolare. È il maestro dei maestri, Juan Manuel Fangio. La foto fu scattata il 22 febbraio del 1958, esattamente un giorno prima del suo clamoroso rapimento.

1958. È il periodo nella storia di Cuba nel quale il presidente Fulgencio Batista vuole fare dell’isola un eldorado caraibico per il jet set mondiale. L’Avana deve diventare una seconda Las Vegas. Per allettare i belli e ricchi servono delle attrazioni e Batista fa sì che il motorsport internazionale arrivi fino alla capitale cubana. Mentre l’high society gironzola per L’Avana a bordo di berline americane, nelle montagne circostanti l’atmosfera ribolle. I barbuti rivoluzionari attorno a Fidel Castro e Che Guevara aspettano solo di rovesciare il regime di Batista e colgono l’occasione del Gran Premio di Cuba del 1958 per sequestrare il campione del mondo e pilota Maserati Juan Manuel Fangio. Lo terranno nelle loro mani per quasi 30 ore.

Fangio perde la partenza del Gran Premio, ma rimane in vita, mentre i ribelli danno in tal modo una bella lezione a Batista e fanno vedere al mondo intero che esistono. Quattro anni dopo – Castro è già da tempo al potere – la città, presso il Malecón, ospita la sua ultima gara internazionale. Il 24 giugno del 1962 rombano ancora i motori. Contro la concorrenza italiana e nordamericana, le Porsche 356 Speedster GT, con un motore in confronto più modesto, si aggiudicano una doppia vittoria con Papi Martínez ed Eduardo Delgado al primo e secondo posto.

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Tour: Maxy Ramos e la sua Plymouth ci portano attraverso il fasto antico dell’Avana

Oltre alle 365, sull’isola più grande delle Antille arrivano anche alcune 718 RSK e 550 Spyder, ma Orlando cataloga non più di 30 vetture Porsche a Cuba. Con l’ultima gara disputata si spengono inoltre le ultime scintille del lussuoso stile di vita iniziato da Batista. La crème de la crème della società se ne va, la maggior parte delle Porsche viene fatta sparire di tutta fretta. Le poche 356 rimaste finiscono nelle mani dello Stato e vengono utilizzate principalmente come taxi. Ma questa è storia.

2016. Ciò che conta ora è il presente della Porsche a Cuba. Oggi non esiste alcun Porsche Club, forse stava per germogliare nel 2003, ma non è mai veramente sbocciato. E sotto l’ancor vigile occhio delle autorità rintracciare il vero entusiasmo Porsche è più difficile di quanto si pensi. L’impresa è ardua.

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Retrospettiva: Raúl Abreu conosce personalmente ogni singola Porsche sull’isola. Negli anni Cinquanta era il meccanico dell’allora concessionario Porsche all’Avana

Nonostante la nuova politica di apertura, si evita ancora di mostrare in pubblico beni di lusso, reali o presunti che siano. Il fascino della ricchezza passata continua a caratterizzare il paesaggio della città, che si sta lentamente sgretolando davanti agli occhi della popolazione. Basta una passeggiata attraverso la sontuosa Vecchia Avana per accorgersene. Se qui si getta uno sguardo all’interno di una biblioteca antica o di un bar affollato, alla porta successiva si apre un vuoto e ci si trova di fronte a una montagna di macerie versate in strada. Lo scheletro di una casa è stato portato alla luce, scalinate intatte lasciano immaginare come scorreva la vita un tempo. Il visitatore allarga la traiettoria. L’Avana continua a muoversi, eppure è ancora ferma.

Orlando Morales rivela che durante la sua attività di pilota anche lui ha guidato una Porsche 550 A Spyder. Un’esperienza che ricorda ancora oggi. «Deve essere stato il 1961. Fino a quel momento ero abituato solo alle vetture americane, pesanti e di grossa cilindrata, mentre quella Porsche leggera si lasciava guidare come un misto tra un caccia e un go-kart».

Anche se all’epoca Orlando non riuscì a qualificarsi per la gara principale, 50 anni dopo dalle sue parole trapela ancora l’euforia: «Non dimenticherò mai quel giorno». Sembra essersi ricaricato, gli è tornata l’energia, l’attempato archivio vivente dell’automobile vuole aiutare a trovare le Porsche del presente, quelle che sono sopravvissute.

I pochi appassionati di motori di Cuba sono a stretto contatto tra loro e non appena la fiducia di Orlando è conquistata si apre la strada verso Manuel García Fernández e Alberto Gutiérrez Alonso, il presidente del Club de Autos Clásicos y Antiguos. Ma prima di tutto si scambiano numeri di telefono e biglietti da visita. Poi, di nuovo, bisogna aspettare. Il network è in azione.

Il giorno successivo Manuel García decide il punto di incontro: l’antica villa Castrol. Finalmente ci si muove! L’affidabile Plymouth di Maxi si mette in moto. Occhiali da sole e le note di Guantanamera, la canzone dell’isola, che risuonano dall’autoradio: «Yo soy un hombre sincero de donde crece la palma. Y antes de morirme quiero echar mis versos del alma». Le strofe scritte in origine dall’eroe nazionale di Cuba, José Martí, descrivono lo stato d’animo dei cubani, un miscuglio impenetrabile di desiderio di morte e di voglia di vivere.

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Ricerca di tracce: Manuel García Fernández (sin.) e Alberto Gutiérrez Alonso sono in stretto contatto

Passiamo di fronte al leggendario Hotel Nacional, un vecchio palazzo con i segni del tempo e affacciato sul mare, mentre le onde si infrangono come sempre sul Malecón. Qui i cliché sono all’ordine del giorno.

Manuel e Alberto fanno strada in direzione Miramar e Punta Brava. Il lettore MP4 riempie il taxi con le note di Riders on the Storm dei Doors: «Into this world we’re thrown, like a dog without a bone».

Passiamo davanti a sensazionali costruzioni architettoniche degli anni Cinquanta, a metà tra il grandioso e il grottesco, e a un parco divertimenti, la cui spina è stata staccata già da anni. Dopo infinite miglia di stupore, il solito cancello di ferro. Chiuso. Sul muro in arenaria, ai suoi lati, dei grossi cocci di vetro tengono lontani i curiosi. La soluzione è sempre la stessa: aspettare! Se c’è una cosa su cui si può fare affidamento a Cuba è che bisogna avere pazienza.

Alla fine il pesante cancello si apre. Una strada conduce attraverso un giardino non curato fino a una Porsche 356 C posteggiata lì tanto tempo fa. Finalmente! Sotto una coltre di fibre di cocco la Coupé color rosso vinaccia riposa sognante in un sonno eterno. Il motore a quattro cilindri non è più al suo posto e nell’abitacolo sono ammassate delle porte. Uno spettacolo triste, ma è pur sempre la prima Porsche! Un balsamo per l’anima.

Le aperture delle luci posteriori balzano subito agli occhi in quanto nettamente più grandi che nell’originale. Il suo possessore, che oggi vive in Florida, probabilmente per necessità vi aveva montato i massicci fanali posteriori di una Lada russa. Alberto ha fretta. La prossima Porsche!

Ma come, di già? In quattro giorni non si è vista neanche l’ombra di una sportiva di Zuffenhausen e ora in 30 minuti addirittura due? Alberto non ha pazienza. Si prosegue. Manuel saluta, Alberto sale a bordo della Plymouth. Una nuova traversata di campi e campagne. E di nuovo un cancello di ferro. «Cuidado hay perro», spicca su un cartello rovinato dal tempo. Ma qui non morde più nessuno. In lontananza, nascosta tra le palme, si intravede la silhouette color argento di una Porsche 356. La Coupé è parcheggiata sotto una tettoia. Quasi inquietante la nonchalance con cui se ne sta lì e l’ottimo stato in cui si presenta.

Alberto si avvia verso il cancello, camminando raccoglie un avocado maturo e scambia velocemente un paio di parole con il giardiniere appena sbucato dalla boscaglia. Un dialogo veloce, poi una breve istruzione, più che altro un ordine: «Cinque minuti! Non di più».

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Ritrovamento inaspettato: la 354 C color rosso vinaccia si nascondeva sotto una coltre di fibre di cocco in un giardino non curato

Il cancello si apre su un breve sentiero che come un labirinto attraversa il terreno di un ex «sostenitore della rivoluzione», come lo chiama Alberto. Ancora tre minuti. La vettura è una Porsche 356, di quelle prodotte all’inizio con la carrozzeria Reutter, come rivela la placchetta sul montante anteriore. La parte posteriore della vettura è sollevata per togliere il peso dagli assali.

Ancora un minuto. Dalla portiera aperta si intravede un abitacolo sorprendentemente moderno. I sedili Recaro non avranno più di vent’anni. Ma prima ancora di riuscire a fare una domanda il tempo scade. Chi è il proprietario di questo piccolo gioiello? Nessuna risposta. «Magari la prossima volta», dice Alberto, «non ora, non oggi». Un fantasma con una simpatia per le Porsche.

Sulla via del ritorno in città squilla il cellulare. Dall’altra parte, Ernesto Rodríguez, co-fondatore dell’ex Porsche Club Cuba: «Tornate all’Avana, presto!». Sono comparsi altri due gioielli Porsche perfettamente funzionanti. E da dove arrivano così all’improvviso? Un’altra domanda che rimane senza risposta. Naturalmente.

Le due 356 non potrebbero essere più diverse. Una beige, un modello in condizioni perfette, anno di costruzione 1957. Fresca e curata come un abito della domenica. L’altra assomiglia a una sorta di patchwork. Una 356 come un mosaico dalle più diverse tonalità di blu. Anno di costruzione 1953, e quel «parabrezza piegato». In evidenza, i segni del tempo.

Mentre la Porsche beige è stata restaurata fedelmente, quella blu tradisce necessità pura: il motore deriva da un Maggiolone, la vernice è stata ripassata infinite volte e stuccata in modo grossolano, elementi portanti sono stati fissati in modo piuttosto creativo. Per i puristi un sacrilegio, per i realisti invece la consapevolezza che a Cuba era quasi impossibile trovare dei pezzi di ricambio Porsche. Neppure di sottobanco.

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Happy End: la Porsche 356 del 1957 viene custodita come un gioiello prezioso. Il suo possessore l’ha restaurata con amore, utilizzando pezzi di ricambio originali

Le due Porsche e i rispettivi proprietari spariscono tanto velocemente quanto sono apparsi. Il tempo per un paio di foto, poi i possessori pigiano sul pedale del gas. L’importante è non dare nell’occhio. Adiós, amigos!

Epilogo. Orlando, l’archivio automobilistico vivente, ha 30 Porsche sulla sua lista. Molte di queste sono state fatte sparire velocemente dall’isola durante la rivoluzione. Sinora la ricerca di tracce ha portato alla luce quattro 356. Dove saranno le altre? Che esistano ancora? Alberto non ha dubbi: «Ce ne sono altre due. Di sicuro. Nel nord dell’isola». Ma è da tanto che non si vedono in giro. La ricerca continua.

Testo Bastian Fuhrmann
Fotografie Anatol Kotte